martedì 12 marzo 2019
lunedì 11 marzo 2019
domenica 10 marzo 2019
giovedì 7 marzo 2019
DONNE NEL TEMPO Disse ai poveri la verità! ROSA LUXEMBURG, EROINA DEL MOVIMENTO OPERAIO di Daniela Zini
Eroina del Movimento Operaio
Rose is a Rose,
is a Rose,
is a Rose...
Gertrud Stein, Sacred
Emily
a
Rosetta Tenti
Una
Rosa per Amica!
Una Leggenda non richiede
che due date: nascere alla vigilia della caduta della Comune di Parigi e morire
assassinata all’indomani della Prima Guerra Mondiale.
Rosa la Rossa.
Rosa l’Ebrea.
Rosa l’Apolide.
Rosa nata in Polonia sotto la dominazione russa.
Rosa naturalizzata tedesca con un matrimonio bianco.
Rosa la Cosmopolita sradicata.
Rosa la Nemica della Patria.
È passato un secolo senza
che il Suo nome sia stato cancellato.
La pallottola che La colpì,
Le tolse la Vita, ma Le donò l’Eternità.
Sosteneva che l’imperialismo e il militarismo sono i
corollari del sistema capitalista.
Sosteneva che gli Stati capitalisti distruggono,
taglieggiano e saccheggiano le Popolazioni e le Terre che sono meno in grado di
difendersi militarmente.
Sosteneva che le spade, temprate nell’acqua benedetta
della Civiltà, della Democrazia e dei Diritti Umani, tagliano le teste e aprono
la strada ai profittatori.
Sosteneva che quelli che scatenano le guerre non
hanno che un’unica certezza: quella di non farle mai.
La Democrazia è così fiera dei suoi principi che può
dispensarsi dall’applicarli!
Il movimento femminista ha tentato, più volte, di fare
di Rosa Luxemburg una Icona della lotta contro l’oppressione della Donna, ma, in
verità, Lei non ha dedicato che un solo testo teorico alla questione femminile,
nel 1912: Il voto alle Donne e la lotta di classe, bastante a non lasciare
dubbi sul Suo approccio di classe.
In un discorso sul diritto di voto alle Donne, tenuto
a Stoccarda, nel maggio del 1912, durante la Seconda Assemblea delle Donne Socialdemocratiche,
Rosa Luxemburg analizza il rapporto dialettico tra lotta di classe,
coinvolgimento delle Donne proletarie nella vita politica e crescita della
socialdemocrazia:
“Il magnifico risveglio politico e sindacale delle
masse del proletariato femminile negli ultimi quindici anni è stato possibile
solo per il fatto che le Donne lavoratrici hanno rappresentato la parte più
vitale delle lotte parlamentari della loro classe, nonostante non avessero
diritti politici.”
Dietro l’apparente anacronismo di queste parole,
si può cogliere un’attualità spiazzante: gli attacchi quotidiani nei
confronti dello Stato Sociale; l’innalzamento dell’età pensionabile; le regalie
alle scuole private; i continui tentativi di minare il diritto di decidere sul
nostro corpo; i salari femminili mediamente inferiori del 20% rispetto a
quelli degli Uomini, secondo i dati INAPP.
Rosa Luxemburg si rifiutò, sempre, di partecipare alla
vita politica in quanto Donna, vale a dire essere assegnata a funzioni e posti
esclusivamente femminili.
Esigeva essere trattata come gli Uomini con i quali condivideva
la lotta quotidiana.
È in questo senso che affermò, un giorno, di non avere
“nulla a che spartire con il Movimento delle Donne” – cosa che non Le impedì,
nel 1911, di dichiarare, in una lettera:
“Pensa, sono divenuta femminista!”
Rosa Luxemburg si considerava un soldato che
esercitava con disciplina e dedizione il “mestiere di combattente proletario
della Libertà”.
Un mestiere che Lei, talvolta, ha odiato: la Politica
Le rubava Tempo, Amici, Amori.
Vi erano giorni in cui non desiderava che una cosa,
una piccola cosa, sciocca e banale: essere felice, tranquilla e serena, infine,
amata da un Uomo al Suo fianco, che La trovasse graziosa, e divenire Madre di
un Figlio che avrebbe amato a sua volta.
Ma la lotta per un Mondo Migliore esige la sua parte
di privazioni.
La Felicità non ha, mai, spezzato la minima catena…
Mistica e Martirio!
L’impegno di Rosa Luxemburg rasentava il Sacrificio.
A tredici anni, aveva scritto all’imperatore Guglielmo
II di Germania:
“I tuoi onori non rappresentano nulla per me, io
voglio che tu lo sappia…”
Più che parole, un Destino!
Viva, aveva deciso:
“Sulla pietra della mia tomba, non si leggeranno che
due sillabe “tsvi-tsvi”.
È il verso delle cinciallegre
che io imito così bene da farle accorrere subito.”
Nessuno a chiudere i Suoi occhi, che vollero aprire
quelli del suo Tempo.
Aveva quarantasette anni.
Si sapeva e si diceva idealista.
Troppo, senza dubbio!
Non aspettiamoci troppo dagli Uomini, non tutti hanno
l’audacia di essere soldati sodali e solidali!
Otto Marzo 2019
“Qualche volta ho
la sensazione di non essere un vero e proprio essere umano, ma appunto qualche
uccello o un altro animale in forma di uomo; nel mio intimo mi sento molto più
a casa mia in un pezzetto di giardino come qui, oppure in un campo tra i
calabroni e l’erba, che non... a un congresso di partito. A lei posso dire
tutto ciò: non fiuterà subito il tradimento del socialismo. Lei lo sa,
nonostante tutto io spero di morire sulla breccia: in una battaglia di strada o
in carcere. Ma nella parte più intima, appartengo più alle mie cinciallegre che
ai “compagni”. E non perché nella natura io trovi, come tanti politici
intimamente falliti, un rifugio, un riposo. Al contrario, anche nella natura
trovo ad ogni passo tanta crudeltà, che ne soffro molto.”
Rosa Luxemburg
DONNE NEL TEMPO
CHARLOTTE SALOMON
messaggera di pace
in un mondo travolto dalla follia della guerra
di Daniela Zini
DONNE NEL TEMPO
FORUGH FARROKHZAD
una, nessuna,
centomila
di Daniela Zini
https://donneneltempo.blogspot.com/2019/02/donne-nel-tempo-forugh-farrokhzad-una.html
DONNE NEL TEMPO
IPAZIA DI
ALESSANDRIA
o la Memoria delle
Donne
di Daniela Zini
DONNE NEL TEMPO
JULIETTE RECAMIER
l’Angelo Fatale di Chateaubriand
di Daniela Zini
DONNE NEL TEMPO
LESBIA
mille e mille baci
e un cuore di pietra
di Daniela Zini
DONNE NEL TEMPO
MAMMA JONES
“Dove vivo?
Ovunque si lotti contro l’oppressione.”
di Daniela Zini
Rosa Luxemburg
Eine Jüdin aus Polen
Vorkämpferin deutscher Arbeiter
Getötet im Auftrag
Deutscher Unterdrücker. Unterdrückte
Begrabt eure Zwietracht!
Bertolt Brecht [1988-1956], Grabschrift, 1919.[1]
Wo sie liegt, ist unbekannt.
Weil sie den Armen die Wahrheit gesagt
Haben die Reichen sie aus der Welt gejagt.
Bertolt Brecht[2]
Sulla sua tomba, nel Zentralfriedhof Friedrichsfelde[3], il cimitero berlinese
noto come Memoriale dei Socialisti, vi è,
ancora, incisa l’epigrafe dell’allora ventenne Bertolt Brecht:
Ora è sparita
anche la Rosa Rossa.
Dov’è sepolta non
si sa.
Siccome disse ai Poveri
la Verità
I Ricchi l’hanno spedita
nell’Aldilà.
Poche parole, seppure suggerite
dalla passione politica, rendono il ritratto di una delle donne più eccezionali
del secolo scorso: Rosa Luxemburg, fondatrice del Partito Comunista tedesco.
Quando fu uccisa dalla
soldataglia dei Freikorps, nel
gennaio del 1919, non aveva compiuto i cinquanta anni; ma, per quanto breve, la
sua intensa vita di rivoluzionaria l’aveva, già, collocata tra le maggiori
figure del movimento operaio internazionale e con lei scomparve – come dirà
Victor Serge[4]
– la sola testa del socialismo occidentale che poteva paragonarsi a Vladimir Il’ic Ul’janov, [1870-1924] meglio noto come Lenin, e
a Lev Trockij [1879-1940].
Rosa o Rosalia
Luxemburg – ma, in alcuni documenti, il suo cognome risulterà scritto anche
Luxenburg – nacque a Zamosc, in Polonia, il 5 marzo 1871, l’anno in cui a
Parigi sorgeva e crollava l’esperimento rivoluzionario della Comune.
Rosa Luxemburg
apparteneva a una famiglia ebrea molto colta e molto unita, proveniente da
quello strato sociale “da cui esce il tipico intellettuale ebreo e
in cui nascono grandi artisti, scienziati e uomini di azione”.
Sinagoga di Zamosc
Zamosc
Zamosc, centro agricolo del distretto di Lublino – che durante la Seconda Guerra Mondiale verrà ribattezzato dai nazisti Himmlerstadt e trasformato in una città-cavia per un folle progetto di “colonizzazione teutonica” –, era, a quell’epoca, sotto il dominio della Russia zarista.
Eliasz Luksemburg, padre di Rosa Luxemburg.
Il padre di Rosa Luxemburg, Eliasz Luksemburg [1830-1900], possedeva un commercio di legname; ma non sempre l’agiatezza regnava nella casa. Rosa Luxemburg ricordava che, talvolta, mancava il pane e si dovevano impegnare i mobili. Le era accaduto, perfino, di accendere la lampada della sua stanza con un pezzo di carta che, poi, risultò essere l’ultimo rublo della famiglia. Il padre, appena lo seppe, ironizzò sull’“altissimo prezzo” cui erano saliti i “fiammiferi”.
Un episodio che
riflette l’atmosfera di casa Luxemburg!
Ultima di cinque
fratelli, Rosa Luxemburg era una bambina allegra, vivace, capace di suscitare
autentica simpatia e, appena apprese a leggere, volle che le domestiche di casa
divenissero sue allieve.
Nel 1874, la famiglia
si trasferì a Varsavia e Rosa Luxemburg di appena tre anni fu colpita da una
precoce sciatica, curata per tubercolosi ossea, che la immobilizzò, mesi e mesi,
a letto, causandole una deformazione permanente dell’anca, che l’avrebbe fatta
zoppicare per il resto dei suoi giorni.
A nove anni, già, leggeva, avidamente, qualsiasi testo e sotto la guida della madre – Line Löwenstein, sorella di un rabbino – apprese la Poesia tedesca, polacca e russa e coltivò un amore, presto trascurato, per Johann Christoph Friedrich von Schiller.
Stabilendosi a
Varsavia, Eduard Luxemburg pensava di favorire i figli nella continuazione
degli studi; ma Rosa – seppure rivelasse un ingegno acuto e versatile negli
studi – non tardò ad avere, proprio nella scuola, un saggio di quella lotta che
sarebbe divenuta lo scopo della sua vita. La politica zarista di
russificazione, infatti, si faceva sentire, in modo particolarmente spietato,
nell’educazione pubblica e, in ogni scuola, vigeva un ristrettissimo numerus clausus per gli ebrei. Nel 1884,
Rosa Luxemburg riuscì, tuttavia, a ottenere l’iscrizione al Secondo Liceo
femminile, uno dei migliori istituti del Paese, frequentato esclusivamente
dalle figlie dei funzionari russi e, praticamente, proibito ai polacchi.
Fu in tale epoca che,
ragazza quindicenne, dai tratti pronunciati, non attraente, molto piccola di
statura, Rosa Luxemburg entrò a fare parte del Proletariat[5],
il Partito Socialista Rivoluzionario polacco.
Il perché della scelta
fu, forse, dovuto alle sue molte letture, agli incontri con i compagni di liceo
e, anche, come afferma Lelio Basso, curatore dell’edizione italiana del suo
carteggio privato, a “un sentimento di profonda rivolta contro le
sofferenze, le iniquità, la miseria e un sentimento di amore per chi ne era
vittima”.
È certo, comunque, che
su di lei pesò, in modo determinante, il dispotismo zarista, poiché Rosa
Luxemburg faceva parte, al tempo stesso, del popolo oppresso dal dominio
straniero e della minoranza ebraica, da tutti calpestata.
Che in lei questi
convincimenti fossero reali e solidi – perché assimilati dallo spirito liberale
e dalla coscienza patriottica della sua famiglia – lo conferma il fatto che, al
termine del liceo, le venisse rifiutata la medaglia d’oro “a causa del suo atteggiamento di
opposizione nei confronti dell’autorità”, nonostante avesse ottenuto, durante
l’anno e negli anni precedenti, in tutte le materie, le classificazioni di
ottimo o di molto buono.
Oramai diciottenne, già
conquistata dagli scritti di Karl Marx e di Friedrich Engels e nota alla
polizia – tanto che venne minacciata di arresto e di deportazione in Siberia –
si vide obbligata ad abbandonare, clandestinamente, la Polonia. Ad aiutarla
nella fuga fu il capo del gruppo di Varsavia del Proletariat, Marcin Kasprzak, un operaio originario di Poznan, che
sarebbe stato impiccato, nel 1905, in seguito alla Domenica di Sangue di San Pietroburgo[6]. Rosa Luxemburg avrebbe
dovuto espatriare seguendo alcuni contrabbandieri, ma, all’ultimo momento, l’impresa
apparve impossibile. Kasprzak, allora, si recò dal parroco di un paesetto di
confine, al quale raccontò che una ragazza ebrea desiderava diventare cattolica,
ma poteva farlo solo all’estero a causa della opposizione della sua famiglia. Rosa
Luxemburg recitò così alla perfezione la parte della neo-convertita che il
sacerdote, convinto, diede il proprio aiuto.
Nascosta in un carro
pieno di paglia, Rosa Luxemburg poté varcare la frontiera e, sul finire del
1889, era a Zurigo, dove si iscrisse alla facoltà di filosofia.
Migliorò il proprio
tedesco; si dedicò, attivamente, al movimento operaio polacco clandestino; partecipò
alla intensa vita intellettuale dei più importanti emigrati politici e conobbe Georgij Valentinovic Plechanov
[1856-1918] – allora il più brillante allievo
di Karl Marx –, Vera Ivanovna Zasulic [1849-1919], Pavel Borisovic Aksel’rod
[1850-1928], Karl
Berngardovic Radek [1885-1939] e Julian Baltazar Marchlewski-Karski
[1866-1925].
Dopo la Rivoluzione Russa, Vladimir Egorovic Makovskij [1846-1920], dipinge 9 gennaio 1905 sull’isola Vasil’evskij, in
cui rappresenta la polizia armata che spara sulla gente indifesa.
Il suo apprendistato politico durò otto anni e si svolse accanto
all’uomo che sarebbe stato il più vicino e il più intimo, Leo Jogiches
[1867-1919], noto anche con lo pseudonimo Jan Tyszka, ricco ebreo ventiduenne
di Vilna, fondatore di circoli rivoluzionari, che dalla Svizzera dirigeva il
Partito Socialdemocratico [illegale] di Polonia.
Nel 1897, conclusi gli
studi con una laurea magna cum laude in
filosofia, Rosa Luxemburg fu ansiosa di mettersi alla prova, per diventare
quello che uno dei suoi biografi, Peter J. Nettl, definisce “un
caso unico nella storia del comunismo”.
Oggi, appare indubbio
che tutta l’azione politica di Rosa Luxemburg si svolse alla sinistra del
movimento operaio europeo.
Negli anni a cavallo
del secolo scorso, si batté, al pari di Lenin, contro l’opportunismo della
socialdemocrazia tedesca, denunciò i pericoli della guerra imperialistica, indicò
e precisò i compiti della classe operaia nel contesto dell’epoca.
“O sopravvivenza
del capitalismo, nuove guerre e l’imminente sprofondare nel caos e
nell’anarchia”
sosteneva,
“o soppressione
dello sfruttamento capitalistico.”
Ma, se in Rosa
Luxemburg l’impegno marxista fu assoluto, la validità del suo pensiero trascese
i limiti del sistema marxista perché, come ha scritto Iring Fetscher
[1922-2014], Rosa Luxemburg fu “forse l’unica dei grandi marxisti che non
abbia, mai, cessato di essere al tempo stesso democratica e rivoluzionaria”.
La grande frattura con Lenin e il bolscevismo si consumò per i suoi scritti sulla Rivoluzione Russa. Sostenendo la partecipazione attiva delle grandi masse proletarie all’esercizio del potere e respingendo la tesi della ricezione passiva delle conquiste dalle mani di una élite rivoluzionaria, Rosa Luxemburg tentò di postulare un concetto di democrazia che evitasse gli opposti estremi del terrore, da una parte, e della democrazia pura, dall’altra. Riconobbe che “soltanto un partito che sappia guidare, cioè spingere avanti, guadagna un seguito nella tempesta”; ma, la dittatura del partito le apparve una dittatura e basta. La dittatura, scrisse, doveva essere “opera della classe, e non di una piccola minoranza, in nome della classe” e ne concluse che “l’educazione alla libertà è possibile soltanto mediante la libertà e che i popoli non possono essere costretti alla loro felicità”.
Questi concetti li ribadì fino all’ultimo.
Karl Liebknecht insieme a Rosa Luxemburg, nel gennaio del 1919.
Il 4 gennaio 1919, ha inizio la rivolta spartachista a Berlino.
È sintomatico che, proprio all’indomani della sconfitta militare della Germania – quando la sua stessa Lega di Spartaco insorse sul modello della Rivoluzione di Ottobre – scrivesse:
“La rivoluzione
proletaria non ha bisogno di alcun terrore […] perché non combatte degli
individui ma delle istituzioni […] Essa non è il tentativo disperato di una
minoranza di modellare con la violenza il mondo secondo il suo ideale, ma
l’azione di enormi masse popolari chiamate a svolgere la missione storica.”
Rosa Luxemburg espresse
le sue idee sotto forma di libri e di saggi [Riforma sociale o rivoluzione del 1899; L’accumulazione del capitale del 1913; La crisi della socialdemocrazia del 1916], con cinquecento e più
articoli su giornali e riviste, con un centinaio di discorsi e, infine, in
oltre mille lettere a compagni, amici, intimi e anche avversari.
Nonostante i numerosi
scontri teorici avvenuti tra i due, Lenin definì Rosa Luxemburg un’aquila,
ritenendo i suoi scritti manuali utili alla formazione delle future generazioni
di comunisti di tutto il mondo.
Anche Lev Trockij, pseudonimo di Lev Davidovic Bronstejn, aveva
per lei stima e l’ammirava da lontano, ricordando i suoi occhi bellissimi che
irradiavano intelligenza e il suo stile intenso e spietato.
Josif Vissarionovic
Dzugasvili [1878-1953], meglio noto come Stalin[7], invece, la mise al bando.
Quando Rosa Luxemburg,
nella discussione su spontaneismo e autoritarismo, affermò che, perfino, gli
errori commessi nella spontaneità da un movimento operaio “sono più fecondi e preziosi
dell’infallibilità del miglior Comitato Centrale”, Stalin condannò le
sue teorie come “la lue del partito”. Se Rosa Luxemburg fosse sopravvissuta
alla bufera che doveva travolgere la Repubblica di Weimar, probabilmente,
sarebbe stata trascinata anche lei sul banco degli imputati nelle purghe
staliniane del 1936-1938 e avrebbe fatto la fine dei Lev
Borisovic Kamenev, dei Grigorij Evseevic
Zinov’ev, dei Nikolaj Ivanovic Bucharin. Ma, se si esaminano le sue opere, soprattutto i saggi e
i discorsi, ci si accorge che, a differenza di quanto cercò di far credere
Stalin, con l’assurda accusa di luxemburghismo, il pensiero politico di Rosa
Luxemburg non divenne, mai, una forza organizzata, né assunse la forma di un
sistema completo o compiuto. Le sue idee furono, spesso, profetiche, come
quella dell’avvento di un cesarismo in Germania e sul rischio – poi, avveratosi
nell’URSS – che alla dittatura del proletariato si sostituisse quella del
partito.
Rosa Luxemburg lottò,
instancabilmente, fino al momento della morte, per la comprensione teorica e la
soluzione pratica di problemi quali la divisione del movimento operaio in
riformisti e rivoluzionari; i rapporti tra sindacati e partito operaio; le
modalità della lotta contro l’imperialismo; i pericoli dell’irruzione del
capitalismo occidentale nelle civiltà extraeuropee e la loro distruzione; la
Rivoluzione di Ottobre e le sue contraddizioni interne e la capitolazione di
tutti i partiti socialisti – all’infuori di quello russo – di fronte alla Prima
Guerra Mondiale.
La laurea in filosofia,
l’attività pubblicista e il posto di rilievo raggiunto in seno al gruppo degli
intellettuali marxisti non bastarono a tenere Rosa Luxemburg lontana dall’azione
e, nella primavera del 1897, compì un passo decisivo, abbandonando la Svizzera
e trasferendosi in Germania.
Nell’Alta Slesia e in
Posnania, territori che, una volta, erano stati polacchi, esistevano forti e
vaste organizzazioni socialdemocratiche e Rosa Luxemburg pensava che, là, il
suo impegno e la sua lotta avrebbero potuto servire a stabilire contatti con il
partito [illegale] nella Polonia russa e a ottenere una influenza sui circoli
dirigenti della socialdemocrazia tedesca, proprio partendo da quel terreno. Leo
Jogiches tentò di trattenerla a Zurigo, un poco per gelosia e anche perché
convinto che, con la sua partenza, il movimento socialista polacco avrebbe
perduto “il miglior cervello”. Ma Rosa Luxemburg era decisa e, grazie a
un espediente, superò la questione burocratica del permesso di residenza in
Germania.
A quel tempo, per le
autorità della maggioranza dei Länder
tedeschi, i socialisti non si collocavano a un livello più elevato
di quello dei delinquenti comuni; agli stranieri, poi, era vietata qualsiasi
attività politica e, più che mai, nelle zone di confine, quali erano appunto
l’Alta Slesia e la Posnania. L’espediente concepito da Rosa Luxemburg fu un matrimonio
“in bianco” con un cittadino tedesco, che poté realizzare immediatamente,
grazie all’aiuto di una sua amica, Olimpia Lübeck, moglie polacca di un
emigrato tedesco. A Basilea, nella primavera del 1897, Rosa Luxemburg sposò, così,
il figlio dei Lübeck, Gustav, dal quale avrebbe divorziato, nel 1903, e, due
mesi più tardi si poté stabilire a Berlino.
La Germania degli Anni 1890
era un Paese in poderoso sviluppo industriale; il partito socialdemocratico e i
sindacati, per la loro forza e la loro influenza politica, rappresentavano i
maggiori sostegni del movimento operaio internazionale.
Tuttavia, la svolta
revisionistica, impressa al partito dal Congresso di Erfurt del 1891, aveva
portato la socialdemocrazia a condurre una politica di obiettivi immediati da
realizzarsi all’interno del sistema borghese vigente, perdendo, così, di vista
la prospettiva rivoluzionaria.
Nell’aprile del 1897, veniva celebrato, nel Municipio di Basilea, il matrimonio, del tutto fittizio, tra Rosa Luxemburg ed Ehemann Gustav Lübeck.
Nel 1905, esponenti della socialdemocrazia tedesca come Richard Calwer [1868-1927] arriveranno a teorizzare l’utilità delle conquiste coloniali e, perfino, la collaborazione degli operai tedeschi nella realizzazione della politica estera imperialista della Germania.
Nel partito, quindi,
Rosa Luxemburg si trovò, immediatamente, schierata con Karl Liebknecht
[1871-1919] e Franz Mehring [1846-1919] e
condusse una estenuante battaglia contro le tendenze opportunistiche e
revisionistiche della maggioranza, sostenendo che il partito aveva il compito
di educare, guidare e ispirare le masse in vista della crisi storica, non di
ammorbidire l’impulso rivoluzionario mediante le riforme. Forse, ispirata dalla
Guerra Anglo-Boera [1899-1902] e dalla Rivolta dei Boxers [1899-1901] in Cina,
Rosa Luxemburg formulò la tesi che il capitalismo sarebbe crollato come conseguenza
delle rivalità imperialistiche e non delle condizioni economiche, rifiutando
l’assioma staliniano degli anni a venire, secondo il quale “il capitalismo è un padrone che
non sa sfamare il proprio schiavo”.
Il periodo dal
principio allo scoppio della Grande Guerra vide Rosa Luxemburg alla ribalta
della scena politica europea. Arrestata una prima volta, nel luglio del 1904, e
condannata a tre mesi di reclusione per avere scritto in un articolo che
l’imperatore Guglielmo II non possedeva “la più pallida idea delle condizioni dei
lavoratori”, tornò in carcere, ma a Varsavia, nel dicembre del 1905,
quando accorse in Polonia dove erano divampati moti antizaristi.
Alla vigilia del
conflitto mondiale negò il voto ai crediti di guerra e, nel marzo del 1915,
insieme a Karl Liebknecht, Hugo Haase [1863-1919] e Georg Lebedour
[1850-1947], che si erano costituiti in frazione, fu espulsa dal Partito Socialdemocratico,
condotto da Philipp Heinrich Scheidemann [1865-1939] e da Friedrich Ebert [1871-1925][8].
Nacque, così, il
Partito Socialista Indipendente che rappresentò, al tempo stesso, la protesta
delle masse operaie contro l’union sacrée
e il vecchio centrismo abituato a mascherare, sotto una fraseologia
rivoluzionaria, una politica di moderazione e di compromesso.
Da qui si formò,
dapprima, nel gennaio del 1916, lo Spartakusbund
[Lega di Spartaco], con l’adesione dei grandi veterani della lotta al
revisionismo, quali Franz Mehring [1846-1919], Leo Jogiches, Rosa Luxemburg e
Karl Liebknecht, e, successivamente, alla fine del dicembre del 1918, il
Partito Comunista Tedesco [NPD]. Ma, per quanto la disfatta della Germania
guglielmina portasse nel Paese una rivoluzione di tipo bolscevico – con il Reichstag disciolto e la nascita dei Soviet di operai e di soldati – non
esistevano le condizioni per un serio moto insurrezionale. Ancora una volta,
con chiarezza cristallina e profetica, Rosa Luxemburg comprese che una
rivoluzione socialista avrebbe potuto essere attuata soltanto da un partito di
massa, che non esisteva ancora, che la socialdemocrazia, divenuta moderata da
decenni di esistenza pacifica e legale, si trovava, ora, al potere come partito
di conservazione sociale e di difesa del capitalismo e che qualsiasi moto si
sarebbe concluso in un inutile bagno di sangue. Secondo Rosa Luxemburg, lo
sconvolgimento della Germania era, semplicemente, il momento adatto per la
propaganda tra le masse, non per la rivoluzione: lo Spartakusbund, per quanto fosse il solo autentico gruppo
proletario, non possedeva un seguito – “era più una tendenza ideologica che un
partito” – dirà acutamente Karl Radek e attorno al suo giornale, Die Rote Fahne [Bandiera Rossa], si
raccoglievano solo poche centinaia di simpatizzanti.
E, quando Liebknecht,
senza consultare il Comitato Centrale, fece scendere in piazza il giovane e
inesperto Partito Comunista, l’insurrezione durò appena una settimana – dal 6
al 13 gennaio del 1919 – e decretò la morte dei capi dello Spartakusbund. Philipp Heinrich Scheidemann,
membro del Governo Ebert, pose una taglia di 100mila marchi sulla testa di Rosa
Luxemburg. I controrivoluzionari – reparti dei Corpi Franchi e uomini e soldataglia del comitato cittadino
berlinese – assaltarono e incendiarono la redazione del quotidiano Die Rote Fahne e iniziarono una
frenetica caccia ai comunisti con l’aiuto di spie e di informatori.
Braccati e rimasti
praticamente soli, Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht si rifugiarono, dapprima,
nel quartiere di Neukölln –
periferia operaia della capitale, in cui neppure i Freikorps osavano addentrarsi – e, successivamente, in un
appartamento al numero 53 della Mannheimerstrasse. Qui Rosa Luxemburg scrisse,
per il quotidiano Die Rote Fahne, il
suo ultimo articolo dal titolo L’ordine
regna a Berlino, nel quale profetizzò, inconsapevolmente, la propria fine,
descrivendo il massacro di alcuni rivoluzionari della Lega di Spartaco:
“[…] i corpi erano
stati così sfigurati a colpi di calcio di fucile dalla soldataglia del Governo
che non fu possibile identificare i loro cadaveri.”
Due sere più tardi, il
15 gennaio, Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht[9] vennero arrestati da una
pattuglia dei Corpi Franchi, che li
aveva identificati, nonostante i documenti falsi, grazie a un delatore, e
vennero trasferiti, immediatamente, nel lussuoso Hotel Eden, sede del comando della Garkavallerie-Schutzendivision, una formazione paramilitare, al
cospetto del capitano Waldemar Pabst .
“Non dimenticherò
mai”,
dirà, in seguito, una
inserviente dell’albergo, parlando di Rosa Luxemburg,
“come hanno
picchiato e trascinato per terra quella poveretta”.
Verso
le undici di sera, Karl Liebknecht venne fatto uscire dalla porta secondaria
dell’albergo, caricato su un’auto e
condotto nel Parco del Tiergarten.
Erano
presenti il capitano Horst von Pflugk-Harttung, i luogotenenti Heinz von
Pflugk-Harttung, Liepmann, von Rittgen, Schulze, Stiege e lo Jäger Clemens Friedrich.
Poco dopo, anche Rosa
Luxemburg fu fatta uscire dall’albergo e consegnata dal tenente Kurt Vogel allo
Jäger Otto Emil Runge. Caricata su
un’auto, sarebbe stata uccisa dallo stesso tenente Vogel[10] con un colpo di pistola
alla testa.
La foto, pubblicata sul quotidiano Die Rote Fahne dall’editore Leo Jogiches, ritrae lo jäger [cacciatore] Otto
Emil Runge [secondo da destra] e i suoi camerati che festeggiano l’assassinio
di Rosa Luxemburg e di Karl Liebknecht all’Hotel Eden, il 15 gennaio 1919.
Il suo corpo sarebbe,
poi, stato gettato dal ponte Lichtenstein nelle acque del Canale Landwehr e
ritrovato soltanto alla fine di maggio.
L’uccisione di Rosa
Luxemburg, avvenuta in modo così feroce e spietato, è, al di là dell’esasperata
lotta che divampa a Berlino e in Germania, il prodotto di una lunga, tenace
campagna diffamatoria, che aveva descritto la donna all’opinione pubblica come
una furia, una megera, una incendiaria, a riprova i soprannomi di Rosa la rossa
e di Rosa la sanguinaria, che ricorrevano sui giornali e nei comizi.
Lo stesso quotidiano
socialdemocratico Vorwärts pubblicò una
poesia, di cui l’autore, Arthur Zickler, si sarebbe, in seguito pentito,
pubblicamente, – che era un vero e proprio incitamento all’assassinio:
Chi ha impugnato
per primo le armi
E ha voluto che
fossero esse a decidere?
Spartakus!
Centinaia di morti
in fila
Proletari!
Karl Radek, Rosa e
compagnia
Nessuno è tra
quelli, nessuno
Proletari!
È sintomatico, poi, di
quell’atmosfera di odio e di persecuzione, che, un quarto di secolo dopo i
fatti, nel 1954, uno storico come Erich Eyck, ricostruendo le vicende della
Repubblica di Weimar, abbia perfino scritto, con sconcertante superficialità
che “gli
amici degli uccisi sbraitarono che loro [Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht]
erano stati assassinati dalla soldataglia reazionaria” e che “oggi
si può ben dire sia accertato [sic] che almeno Rosa Luxemburg cadde vittima
della giustizia sommaria di una folla eccitata”.
Eppure, in tutta
l’opera poetica di Rosa, non vi fu una sola parola che giustificasse, in
qualche modo, le accuse di spietatezza, di cinismo, di crudeltà.
Lei stessa appariva una
figura patetica.
Non era una donna
attraente, secondo i canoni correnti: piccola, claudicante, un profilo che
esprimeva risolutezza e ardimento, due grandi occhi e una voce limpida. E,
seppure piena di forza, Rosa Luxemburg era una donna tenera, sensibile,
soccorrevole.
Amava la vita.
Se trascorreva, ore e
ore, nella sede del giornale o del partito, la sera, andava a ballare.
Se leggeva Marx e
Lenin, non disdegnava i romanzi popolari.
Era affascinata dagli
animali e dagli erbari.
Dipingeva.
E di suo è rimasto un
vigoroso autoritratto a olio.
Scriveva poesie e dolci
lettere d’amore.
Sono lettere cariche di significati e raccontano una donna che
ha fatto della sua partecipazione alla politica una bandiera di vita, e ci
rivelano una Rosa Luxemburg più autentica e introspettiva nei suoi risvolti
meditativi.
Nel 1926, a Rosa Luxemburg, a Karl Liebknecht e ad altri
protagonisti, trucidati della rivolta spartachista, venne dedicato un monumento
a Berlino, opera dell’architetto modernista Ludwig Mies van der Rohe. Nel 1935,
il monumento fu distrutto dai nazisti e i resti dei sepolti andarono dispersi.
“Ho bisogno
dopotutto di qualcuno che mi creda”,
scriveva,
“quando dico che solo per sbaglio sono presa nel turbine della
storia del mondo ma in realtà sono nata per stare a custodire le oche.”
A Mathilde Jacob, alla quale ha affidato l’amata gatta Mimì,
ringraziandola per i fiori ricevuti, scriveva:
“Non so se vi ho già mostrato i miei erbari in cui, a partire
dal maggio 1913, ho classificato più o meno 250 piante, tutte magnificamente
conservate, le ho tutte qui come alcuni atlanti e adesso posso aprire un nuovo
quaderno.”
E ancora:
“Per
distrarmi leggo la storia geologica della Germania. Pensate un po’, nelle
placche di argilla del periodo algonchiano, cioè l’epoca più antica della
storia del globo, quando non esisteva ancora la minima traccia di vita
organica, quindi milioni e milioni di anni fa, si sono trovati in Svezia, in
una di queste placche di argilla i segni delle gocce di un breve acquazzone!
Non vi potete immaginare quale effetto magico ha prodotto in me questo
buongiorno venuto da epoche lontane. Non leggo nient’altro con altrettanto
interesse appassionato come i libri di geologia.”
A Mathilde Wurm, il 28 dicembre 1916, confessava:
“Non conosco la ricetta che permetterebbe di comportarsi come un
essere umano, so solo come lo si è.
[…]
Il mondo è cosi bello malgrado tutti gli orrori e sarebbe ancora
più bello se non vi fossero sulla terra dei vigliacchi e dei codardi.”
Nell’aprile del 1917, dal carcere di Wronke, Rosa Luxemburg
scriveva all’amica Luise Kautsky:
“ Quando si ha l’abitudine di cercare una gocciolina di veleno
in ogni fiore schiuso, si trova, fino alla morte, qualche motivo per
lamentarsi. Guarda, quindi, le cose da un angolo diverso e cerca il miele in
ogni fiore: troverai sempre qualche motivo di sereno buonumore. Inoltre,
credimi, il tempo che – così come altri – attualmente passo sotto chiave,
neanche questo tempo è perduto.”
E ancora:
“Sono del parere che si deve semplicemente, senza voler essere
troppo cattivi né scervellarsi, condurre la vita che si reputa giusta, senza
esigere d’essere pagate subito in moneta sonante per tutto ciò che si fa. Alla
fine, tutto sarà ben ricapitolato; e se così non sarà io proprio me ne infischio, anche senza la vita è per me una tale fonte
di gioia: tutte le mattine ispeziono scrupolosamente le gemme di ogni mio
arbusto e verifico dove ve ne sono; ogni giorno faccio visita a una coccinella
rossa con due puntini neri sul dorso che da una settimana mantengo in vita su
un ramo, in un batuffolo di calda ovatta nonostante il vento e il freddo;
osservo le nuvole, sempre più belle e senza sosta diverse, e, in fondo, io non
mi considero più importante di quella piccola coccinella e, piena del senso
della mia infima piccolezza.”
Ebbe una vita
sentimentale tormentata.
Dagli uomini che
entrarono nella sua intimità pretese sempre rapporti improntati a una estrema
franchezza.
Il legame più duraturo
fu quello con Jogiches, ma a una infedeltà del suo compagno, intorno al 1907,
reagì, aspramente, al punto da non volerlo vedere più, in privato,
naturalmente, perché “i rapporti di partito debbono continuare”
e si innamorò ricambiata di Konstantin Zetkin, figlio ventiduenne della sua più
cara amica e compagna, Clara Zetkin, “la vergine rossa”. Quando anche questo
legame si allentò, nel 1916, Rosa Luxemburg divenne intima di uno dei dirigenti
del partito, Hans Diefenbach, da tempo suo discreto corteggiatore.
All’uccisione di Rosa
Luxemburg seguì, il 10 marzo 1919, quella di Leo Jogiches, freddato, “mentre
tentava la fuga”, dall’ufficiale della polizia criminale Ernst Tamschick. Ma, prima di morire, Jogiches smascherò sul
giornale Die Rote Fahne gli assassini
di Rosa Luxemburg e pubblicò la foto del banchetto dopo il duplice omicidio.
Il Vorwärts fu
l’unico giornale ad annunciare l’arresto di Rosa Luxemburg e di Karl
Liebknecht, già dalla mattina del 16 gennaio 2019, benché tacesse sulla loro
uccisione.
Il Governo di Ebert fu
costretto ad aprire un processo che vide la condanna dello jäger [cacciatore] Otto Emil Runge a due anni per tentato omicidio e
del tenente Kurt Vogel a due anni e quattro mesi per mancata sorveglianza e
occultamento di cadavere. Ma, sebbene incriminati, i responsabili materiali del
delitto godettero apertamente di protezioni altolocate: basti dire che Vogel
all’indomani della condanna, ottenne 30mila marchi e un passaporto per fuggire
in Olanda proprio da uno dei membri del tribunale che lo aveva giudicato. E non
è un caso che costui fosse l’ufficiale di marina Hans Wilhelm Canaris, futuro
capo dell’Abwehr, sotto Adolf Hitler.
Scultura raffigurante Clara Zetkin insieme a Rosa Luxemburg, Birkenwerder, Germania.
Scultura raffigurante Clara Zetkin insieme a Rosa Luxemburg, Birkenwerder, Germania.
L’unico a non poter essere ingannato fu il popolo. Se, uccidendo Rosa Luxemburg, gli assassini e i loro mandanti credettero di far cadere il suo nome nell’oblio commisero un grande errore.
Quel delitto, così
feroce e, al tempo stesso, così misterioso fece correre nei quartieri operai di
Neukölln e di Wilmersdorf una
leggenda molto simile a quella di un altro capo rivoluzionario, Emiliano
Zapata: poiché le acque del Landwehr tardarono a restituire i resti di Rosa
Luxemburg.
Soltanto quattro mesi
più tardi, alla metà di maggio, venne ripescato un corpo per caso[11].
La gente disse che Rosa
non era morta, aveva potuto salvarsi e, venuto il momento, sarebbe riapparsa
per mettersi di nuovo alla testa del movimento operaio tedesco.
E io credo che Rosa Luxemburg sia tornata tra noi!
Daniela Zini
Copyright © 8 marzo 2019 ADZ
Copyright © 29 maggio 2010 ADZDaniela Zini
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Copyright © 29 maggio 2010 ADZ
[1] Qui giace sepolta
Rosa Luxemburg
Ebrea di Polonia
In prima linea sul
fronte dei lavoratori tedeschi
Assassinata per
mandato
Di oppressori
tedeschi. Oppressi
Seppellite la
vostra discordia!
Bertolt Brecht
[1988-1956], Epitaffio, 1919.
[2] Il 15 gennaio 1921,
alla vigilia del Congresso Nazionale del Partito Socialista [15- 21 gennaio
1921], a Livorno, Antonio Gramsci scriveva un articolo sugli avvenimenti
tedeschi, pubblicato su L’Ordine Nuovo,
il settimanale fondato prima de L’Unità, in cui denunciava il ruolo controrivoluzionario della
socialdemocrazia.
“È caso o è fortuna quella che
vuole che il Congresso del Partito Socialista Italiano si raduni a Livorno nel
giorno anniversario del sacrificio di Carlo Liebknecht? Noi non
crediamo né alle date fatali né alle fatidiche coincidenze della Storia, e non
crediamo nemmeno che lo spirito dei morti abbia potere di ritornare tra i vivi
e di ispirarli. Ma se quelli di cui si commemora la fine sono i “nostri” morti,
sono coloro che caddero con le armi levate nel fervore della lotta, e con lo
spirito teso, nelle alternative disperate del combattimento, a resistere, ad
attendere, a sperare, — di questi morti anche noi sentiamo la vitalità eterna,
sentiamo noi pure la permanenza dello spirito loro, animatore, tra di noi; —
per questi morti anche noi, quasi, ci sentiamo di ripetere le parole della
fiduciosa superstizione cristiana: essi sono vivi ancora, e giudicano, e
attendono. In realtà, siamo noi stessi che giudichiamo e attendiamo, ma
vogliamo pensare l’azione e il giudizio nostro, in questi momenti supremi, come
ispirati, quasi dettati da un insegnamento sorgente dalla vita di chi tanto più
intensamente di noi ha operato per l’affermazione e la vittoria dei principi
nostri.
Sotto
gli auspici del nome di Carlo Liebknecht ben si apre perciò il Congresso di
Livorno. Chi evocherà, con il nome, i fatti e gli insegnamenti, non potrà
trarre da essi che un monito, conforme con la nostra attesa, con la nostra
fiducia, con i nostri propositi.
Con la morte di Carlo Liebknecht, nel gennaio 1919, finiva nel
sacrificio cruento la prima grande affermazione dei comunisti dell’Europa Centrale
e Occidentale. L’insurrezione armata del proletariato tedesco, che egli diresse
con l’autorità della sua persona, enorme di fronte alle mezze figure dei
traditori e degli esitanti, e con una precisione di pensiero e di propositi
pari all’ardire e alla tenacia infrangibile della volontà, quella insurrezione
fu in realtà il primo, il solo tentativo grande, serio e fornito di probabilità
di successo, di inserire e comprendere il periodo della crisi europea
postbellica nello stesso quadro della rivoluzione proletaria russa.
L’insurrezione dei
comunisti tedeschi parve per un istante realizzare la saldatura tra la
rivoluzione russa vittoriosa e gli sforzi delle minoranze rivoluzionarie dei Paesi
dell’Europa Centrale e Occidentale. Se la saldatura si fosse compiuta, invece
di esaurirsi in una serie di tentativi sporadici e nel grande, epico, ma
doloroso sforzo di un popolo isolato, la rivoluzione europea avrebbe avuto il
suo sbocco naturale in una rivolta di tutto il proletariato contro tutti i Governi
dell’Intesa. Perciò nei giorni tragici del gennaio 1919 il cuore del mondo
intiero pulsò intorno a Berlino, e il destino del mondo intiero parve sospeso
all’esito degli scontri rabbiosi nei quali il fiore dei proletari di Germania
versava il suo sangue. Il nome stesso di Liebknecht apparve allora a tutti in
modo concreto, in modo evidente, ciò che era apparso negli anni della guerra
alla fantasia di Henri Barbusse, una sintesi vivente, un simbolo: la sintesi ed
il simbolo della rivolta proletaria contro le infamie, contro gli orrori,
contro la schiavitù della guerra e della pace capitalistica.
Ma oggi che a distanza di due anni ricordiamo quei fatti, noi possiamo
aggiungere qualcosa a quella rappresentazione simbolica, possiamo aggiungere l’esperienza
di un periodo rivoluzionario apertosi con le più grandi speranze e con la più
grande audacia, e non ancora concluso, benché il ritorno degli eventi fatto più
lento e meno febbrile sembri accennare a una depressione degli spiriti e della
volontà di rivolta. Oggi lo sviluppo dei fatti ci si presenta anch’esso più
chiaro, insieme col logico incatenarsi delle cause e degli effetti, e il
sacrificio di Liebknecht ci appare in tutta la pienezza del valore ch’esso ha
avuto, non solo nella storia della rivoluzione europea, ma nella stessa intima
storia della formazione nelle file del proletariato di una precisa coscienza e
di una valida capacità di azione. Perciò, prima di ogni altra cosa, nel
ricordare morte atroce, noi ricordiamo che gli strumenti di essa furono
apprestati, prima che dalla classe borghese, dai traditori usciti dalle file
del partito del proletariato. Commemoriamo il martire e l’eroe, l’uomo nella
cui vita per un istante si sono riassunte le sorti di tutta la classe ribelle,
e non possiamo non ricordare, come parte essenziale di un insegnamento che non
si cancella, che la sua sorte fu segnata da coloro che erano venuti meno alla
fede, che erano passati nelle file avversarie o rimasti tra le file dei
combattenti per seminarvi dubbio, incertezza, scetticismo. L’insurrezione
berlinese del gennaio 1919 fallì perché trovò contro di sé, organizzate dai
socialdemocratici, le forze della reazione; dopo di essa, il proletariato
tedesco fino a ieri è stato impedito di risorgere valido e potente dagli stessi
che un giorno erano parsi guide dell’azione e poi si rivelarono traditori
nascosti sotto le spoglie o del teorico, o del funzionario, o del parlamentare.
Soltanto attualmente dopo un lungo periodo d’elaborazione interiore, dopo un
periodo faticoso di liberazione e di rinnovamento, la classe operaia tedesca
sta ritrovando la sua via. E la ritrova sulle direttive segnate da Carlo
Liebknecht.
Ma noi abbiamo detto che nel suo nome e nell’azione sua vedevamo
un esempio per tutti i popoli. Più che un esempio, è una prova. Carlo
Liebknecht ci ha provato nel modo più valido, col sacrificio, quale è la via e
quali sono gli ostacoli.
Chi evocherà il suo nome al Congresso di Livorno saprà esprimere
completo il monito che esso contiene?
Sotto gli auspici
del suo nome noi vogliamo porre — e ci pare realmente ora, che la coincidenza
sia fatidica — l’origine del Partito comunista italiano.”
L’omicidio politico di Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg fu
una tragedia che segnò l’intera storia del Movimento Operaio e Rivoluzionario
europeo almeno fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale.
[3] Il Zentralfriedhof Friedrichsfelde si trova nel quartiere berlinese di Friedrichsfelde e fu costruito
nel 1881. Il Cimitero Centrale di Friedrichsfelde, noto come
Memoriale dei Socialisti, in seguito all’occupazione di Berlino Est da
parte dei Sovietici, è collocato nel distretto orientale di Lichtenberg,
subito dopo la Karl-Marx-Allee, a soli pochi isolati dall’ex-sede della STASI, il Ministerium für Staatssicherheit ovvero
il Ministero della Sicurezza di Stato della Repubblica Democratica
Tedesca.
Ogni anno, nel mese di gennaio, migliaia di garofani rossi
giacciono sulla neve davanti al monumento di pietra dedicato ai socialisti. Sullo
sfondo si ergono gli alberi di pino contro un cielo grigio.
È un momento di ricordo per Wilhelm e Karl Liebknecht, per Rosa
Luxemburg e per molti altri famosi berlinesi, che sono stati sepolti al
Cimitero Centrale di Friedrichsfelde.
[4] Viktor L’vovic
Kibalcic [1890-1947], conosciuto con lo pseudonimo di Victor Serge, era figlio di rifugiati politici russi. Suo padre era
stato un ufficiale della Guardia Imperiale, membro del gruppo Zemlja i Volja [Terra e Libertà] e
simpatizzante del movimento politico Narodnaja
Volja [Volontà del Popolo]. Dopo l’arresto di Nikolaj Ivanovic Kibal’cic,
uno degli attentatori dello zar Alessandro II, suo lontano parente, era stato
costretto a lasciare il Paese e a riparare in Belgio, dove aveva trovato lavoro
come insegnante presso l’Istituto di Anatomia di Bruxelles.
Qui, il 30 dicembre 1890, era nato Viktor.
Serge Victor lascia, molto presto, la famiglia e si
collega a circoli anarchici radicali, in particolare quelli che, poi, daranno
vita alla Banda Bonnot, il gruppo armato che operò negli anni immediatamente
precedenti alla Prima Guerra Mondiale, in Francia e in Belgio. Individuato
dalla polizia francese – nel frattempo si era trasferito a Parigi –, si rifiutò
di collaborare e venne condannato, nel 1912, a cinque anni di prigione.
Dopo più di un quarto di secolo di militanza rivoluzionaria in
Belgio, Francia, Catalogna, Russia, Germania, Austria, caratterizzata da
carcere, esilio, deportazione, Victor Serge si imbarca, con lo scrittore
francese André Breton e altri trecento profughi, sul cargo Capitaine Paul-Lemerle per raggiungere il Messico, Paese che gli ha
concesso il visto d’ingresso, ed entra nell’ultima fase della sua travagliata
esistenza.
In questa terra messicana, che osserverà affascinato,
studiandola a fondo, è l’ultimo sopravvissuto, con Natalia Ivanovna Sedova, la vedova di Lev Trockij, alla strage
delle vecchia guardia bolscevica.
Serge Victor, scampato al Gulag,
è uno scomodo testimone degli orrori staliniani e, insieme a un pugno di altri
esuli del Partido Obrero de Unificación Marxista [POUM], il Partito Operaio di Unificazione Marxista, e
libertari, conduce una strenua battaglia in nome del socialismo e della libertà,
braccato dal Narodnyj Komissariat Vnutrennich Del
[NKVD], il Commissariato
del Popolo per gli Affari Interni, che ne segue le mosse, pronta a
eliminarlo.
In questa terra messicana terminerà i suoi scritti migliori.
Ha ancora senso
rileggere le Memorie di Victor Serge?
Victor Serge, o meglio la memoria di Victor Serge, è la prova
più bruciante della nostra ipocrisia.
Nel 2004, in un saggio scritto alla vigilia della sua morte e
che, forse, ci resta come suo testamento, Susan Sontag si chiede perché Victor
Serge sia stato dimenticato, o comunque abbia avuto meno fortuna di altri e prova
a darsi delle risposte:
Perché è un esule e, dunque, nessuno può rivendicarlo a pieno?
Perché non fu uno scrittore impegnato in modo discontinuo nella
militanza, “bensì un attivista e un
agitatore tutta la vita”?
Perché ha scritto moltissimo e larga parte della sua scrittura
non è letteraria?
Perché nessuna Letteratura nazionale può rivendicarlo?
Perfino la sua morte fu triste scrive Susan Sontag:
“Trasandato, malnutrito, sempre più
afflitto dall’angina – aggravata dall’altitudine di Città del Messico – una
notte ebbe un infarto mentre era per strada, riuscì a fermare un taxi, e morì
sul sedile posteriore. Il tassista lo depositò in un posto di polizia: ci
vollero due giorni prima che la sua famiglia venisse a sapere quello che gli
era successo e potesse recuperare la salma.”
E, poi, scrive:
“Sarà perché nella sua vita vi furono
troppe dicotomie? Fu un militante, in lotta per un mondo migliore, fino alla
fine dei suoi giorni, cosa che lo rese
esecrabile alla Destra […] Ma fu un anticomunista abbastanza perspicace da
preoccuparsi che il Governo inglese e quello americano non avessero compreso
come dopo il 1945 Stalin mirasse a impadronirsi dell’intera Europa [a costo di
una Terza Guerra Mondiale]. E ciò, in un’epoca in cui tra gli intellettuali
dell’Europa Occidentale erano diffusi i preconcetti filosovietici e la
diffidenza per gli anticomunisti, fece di Serge un rinnegato, un reazionario,
un guerrafondaio. Come recita un vecchio adagio, Serge seppe “scegliersi i
giusti nemici”.”
Se anche Victor Serge sia stato ucciso o no dagli agenti di
Stalin è oggetto di ipotesi dall’indomani di quel 17 novembre 1947, in cui morì
di arresto cardiaco, in un taxi a
Città del Messico, esattamente come la fotografa udinese Assunta
Adelaide Luigia Modotti Mondini, meglio nota come Tina Modotti [1896-1942], il 5 gennaio 1942, nella stessa città,
in circostanze analoghe: in un taxi e
dopocena. Senza dimenticare i sospetti di avvelenamento che circondarono la
morte dello scrittore e drammaturgo Aleksej
Maksimovic Peskov Maksim Gor’kij
[1868-1936], meglio noto con lo pseudonimo di Maksim Gor’kij [Maksim l’amaro], considerato
il padre del realismo socialista. Lo scrittore russo
Arkady Iosifovich Vaksberg [1927-2011] ha, sempre, sostenuto la teoria secondo cui Gor’kij non sarebbe morto per problemi
cardiaci, come sostiene la versione ufficiale, ma sarebbe stato assassinato su
ordine di Stalin. Di certo, all’epoca della sua morte lo scrittore era già
molto malato. A poche ore dal suo decesso i due emisferi del suo cervello
furono espiantati, e sono, ancora oggi, conservati presso l’Istituto di Neurologia
di Mosca, insieme al cervello di Vladimir Vladimirovic Majakovskij
[1893-1930], di Lenin e di molti altri pensatori, scrittori e politici
russi.
Congetture che non possono sostituirsi a prove che non vi sono
e, forse, non vi saranno mai.
E la nostra civiltà giuridica crede nel principio di non
condannare mai sulla base di indizi o supposizioni. Ma l’essere umano non è un
apparato giuridico ed è libero di nutrire nell’intimo sensazioni di dubbio o di certezza, anche se queste non acquisteranno, mai, la dimensione di
indagine documentale o di sentenza giudiziaria.
[5] Il Polska
Partia Socjalistyczna [PPS], Partito Socialista Polacco, fu un partito politico di orientamento
socialista e socialdemocratico, attivo in Polonia, dal 1892 al 1948.
[6] Con il termine
Domenica di Sangue si è soliti indicare gli incidenti avvenuti a San
Pietroburgo, il 22 gennaio 1905 [9 gennaio secondo il calendario giuliano],
quando i soldati della Guardia Imperiale aprirono il fuoco contro una
manifestazione pacifica di dimostranti disarmati che si dirigevano verso il
Palazzo d’Inverno, per presentare una supplica allo zar Nicola II.
La marcia era stata organizzata dal pope Georgij Apollonovic Gapon [1870-1906], al soldo dell’Ochrana, la
polizia segreta zarista.
La repressione provocò una vasta ondata di scioperi e diagitazioni
in tutta la Russia che sfociò nella Rivoluzione Russa del 1905.
[7] Fu Stalin in
persona, durante una riunione del Comitato Centrale bolscevico a lanciare
strali contro Rosa Luxemburg, che si era permessa di criticare la strategia
insurrezionalista per la presa del potere, insurrezione di una ristretta
minoranza che, se permise di prendere il Palazzo d’Inverno, abbatté, anche, il
Governo del socialista Aleksandr Fëdorovic Kerenskij
[1881-1970] e sciolse la Duma, il parlamento eletto, comportando una drastica
riduzione delle libertà democratiche appena conquistate.
Era ancora vivo e attivo Lenin che,
racconta la leggenda, Rosa Luxemburg mise a tacere Stalin con queste assai
taglienti parole:
“Sa compagno Stalin, vi sono aquile che qualche volta possono
volare basse come galline, ma nessuna gallina per quanto starnazzante ha, mai,
volato fino all’altezza delle aquile.”
[8] Due giorni dopo
il Natale del 1918, il primo ministro Friedrich Ebert aveva nominato Gustav
Noske ministro della difesa, noto come nazionalista convinto e uomo duro, che
il principe Max di Baviera aveva scelto per reprimere l’ammutinamento navale
scoppiato a Kiel, agli inizi di novembre.
Appena incaricato, Noske dichiarò:
“Serviva qualcuno
disposto a fare il cane sanguinario”.
Si mise all’opera fino dai primi di gennaio del 1919.
Tra il 10 e il 17 [periodo che venne, allora, denominato, a
Berlino, “la Settimana di Sangue”] le truppe regolari e i corpi di volontari,
comandati da Noske e dal generale Walther von Luttwitz,
eliminarono il movimento spartachista.
Si
concludeva, così, la lunga attività controrivoluzionaria della socialdemocrazia
tedesca, che spianava la strada all’avvento del nazismo.
Nel suo libro, Storia del
Terzo Reich, William L. Shirer rivela l’esistenza di un patto segreto tra
il generale Karl Eduard Wilhelm Groener e il capo dei
socialdemocratici Friedrich Ebert:
“Nel momento più difficile per
la loro patria, essi presero contatto attraverso un telefono segreto.
Il capo socialista e il vicecomandante dell’esercito tedesco
stipularono un patto che doveva essere decisivo per le sorti della Nazione. Per
molti anni il pubblico non ne seppe nulla.
Ebert si impegnò a soffocare l’anarchia e il bolscevismo e a
mantenere l’esercito con tutte le sue tradizioni. Dal canto suo Groener dava l’assicurazione
che l’esercito avrebbe aiutato il nuovo Governo a consolidarsi.”
[9] Nato a Parigi da
una nobildonna di origini anglo-irlandesi e da un banchiere di Amburgo, il
conte Harry Clemens Ulrich Graf Kessler
[1868-1937] era destinato ad avere una vocazione cosmopolita. Tipico enfant gâté,
educato nelle migliori scuole inglesi e tedesche e abituato ai modi raffinati
del bel mondo, il poliglotta Kessler non solo fu amante delle arti e loro
instancabile promotore, ma anche intelligente diplomatico e uomo politico. Affiancò,
tra l’altro, nella delegazione tedesca alla Conferenza di Genova del 1922,
Walter Rathenau, di cui compose, negli anni successivi, una memorabile
biografia. La sua vita inquieta lo portò a compiere numerosi viaggi, anche nel
nostro Paese, che Kessler amò come un museo a cielo aperto e come una terra dal
paesaggio multiforme e incantevole. Bandito dai nazisti, morì in esilio a
Lione. I suoi corposi Diari raccolgono le impressioni
registrate dall’autore durante i suoi diversi Viaggi in Italia, avvenuti tra il
1892 e il 1930. Kessler è uno dei rari aristocratici tedeschi che presero
posizione a sostegno della Repubblica di Weimar, cosa che gli valse un’ostilità
tale, da parte dei nazisti, da fargli ritenere prudente non rientrare nel suo
Paese, dopo il 30 gennaio 1933. Ora, quest’uomo di cultura, che aveva la
peggiore opinione di Adolf Hitler prima del 1933, nei suoi Diari, annotava, il 24 gennaio sull’assassinio di Rosa Luxemburg:
“Colazione con il principe e la principessa Bülow. Ovviamente si è parlato soprattutto di Spartaco. I Bülow
alloggiano all’Hotel Eden, dopo che la sparatoria li ha scacciati dall’Adlon, e
là sono in contatto con la divisione dei fucilieri della Guardia. La
principessa dice di non essersi accorta di niente, mentre uccidevano Liebknecht e Rosa Luxemburg, in albergo vi era un gran silenzio.
La sua cameriera personale avrebbe incontrato Rosa Luxemburg per il corridoio,
in mezzo ai soldati, una donna bassina, che camminava tranquilla fra loro.”
[10] Una inchiesta,
tuttavia, avrebbe stabilito che l’autore materiale del delitto sarebbe stato,
in realtà, il tenente Hermann Wilhelm Souchon [1895-1982].
“[…] A ricostruire
attentamente le drammatiche vicende che portarono all’uccisione di Rosa
Luxemburg, è ora un regista cinematografico che in un libro intitolato Un
cadavere nel canale [Eine Leiche im Landwehrkanal, ed. Decaton, pagg. 109]
chiarisce definitivamente i punti oscuri del triste e complesso caso sul quale
voleva inizialmente girare un documentario. Improvvisatosi detective, il
regista, Klaus Gietinger, ha raccolto le testimonianze di chi sapeva e ha
finora taciuto, di chi conosceva i responsabili del delitto; dimostra che a
sparare il colpo mortale fu, con tutta probabilità, l’ufficiale di marina
Hermann Souchon; ma soprattutto prova senza ombra di dubbio che l’omicidio di
Rosa Luxemburg fu premeditato e non casuale, che fin dall’ inizio gli ufficiali
dell’ esercito imperiale ormai disciolto, avevano l’intenzione di eliminarla
subito […]”
Paola Sorge, Chi
ha ucciso Rosa Luxemburg, la Repubblica, 18 febbraio 1994 [https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1994/02/18/chi-ha-ucciso-rosa-luxemburg.html].
[11] Nel maggio del
2009, il settimanale tedesco Der Spiegel
dava la notizia del ritrovamento dei veri resti di Rosa Luxemburg. Secondo il
settimanale, il corpo dell’eroina del movimento comunista gettato nel
Landwehrkanal, un canale berlinese che si immette nella Sprea, si troverebbe,
senza testa e braccia, ancora presso il Dipartimento di Medicina Legale dell’Ospedale
Universitario della Charité di Berlino, a riprova la presenza di una
malformazione femorale di cui Rosa Luxemburg soffriva, del tutto assente,
invece, nei resti finora ritenuti autentici. Questo, almeno, è quello che sosteneva
il direttore del dipartimento Michael Tsokos. Spulciando negli scantinati del
suo dipartimento per una mostra sulla medicina legale, Tsokos si era imbattuto
nel cadavere di una donna morta diversi decenni fa. Il corpo – privo di mani,
piedi e testa – mostrava “sbalorditive somiglianze” con quello di Rosa
Luxemburg, aveva spiegato Tsokos al settimanale Der Spiegel. La lista delle analogie è lunga: la donna doveva avere
tra i quaranta e i cinquanta anni al momento della morte, Rosa Luxemburg ne
aveva quarantasette, quando fu uccisa, e aveva una gamba più corta dell’altra, proprio
come la pasionaria tedesca di origini polacche, che soffriva di una
malformazione all’anca. A sostegno della sua ipotesi, Tsokos citava, anche, il
protocollo dell’autopsia condotta sul corpo ripescato nel Landwehrkanal, il 31
maggio 1919, e, subito, attribuito a Rosa Luxemburg. Nonostante le evidenti
stranezze. Le gambe non erano, infatti, una più corta dell’altra e,
soprattutto, il cadavere non mostrava né segni di percosse, né il foro di
ingresso di un proiettile. E questo nonostante fosse noto che Rosa Luxemburg fosse
stata, prima, colpita con il calcio del
fucile dai miliziani dei Freikorps e,
poi, assassinata con un colpo alla testa.
“Quello di
Friedrichsfelde è il corpo di una donna che si è suicidata.”,
aveva spiegato lo storico Jörn Schütrumpf, editore dell’epistolario
di Rosa Luxemburg. In base alle analisi condotte a Kiel con il metodo del C14,
la donna senza nome dell’ospedale sarebbe nata tra il 1830 e il 1890 e Rosa Luxemburg
nacque nel 1871.
La storica Annelies Laschitza ha sottolineato che “finora non vi è nessuna prova che il
presunto ultimo ritrovamento sia quello di un vero corpo della Luxemburg”.
E Tsokos, il medico che ha fatto lo scoop, non è riuscito a trovare nessuna conferma dagli esami del DNA. Tra l’altro, l’ultima erede della
rivoluzionaria, si è rifiutata di sottoporsi a un test per una teoria che giudica infondata. Quando fu uccisa, Rosa
Luxemburg indossava un vestito di velluto blu, che la sua amica Wanda Marcusson
riconobbe, un medaglione al collo, un paio di calze che arrivavano poco sopra
il ginocchio.
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