Mamma
Jones
La
leggendaria figura di Mamma Jones, una delle più accanite agitatrici sindacali
di tutta l’America.
Mary Harris JONES
[1°
maggio 1837 – 30 novembre 1930]
“Dove vivo?
Ovunque si lotti contro l’oppressione.”
Ovunque si lotti contro l’oppressione.”
Così rispondeva la coraggiosa donna a chi voleva farsela amica e frequentarla. A novanta anni teneva ancora comizi, spostandosi da uno Stato all’altro, viaggiando in treno, in calesse, in carri agricoli, che, talvolta, dovevano guadare i fiumi, quasi sempre con la polizia alle calcagna. Spesso era ospitata qui e là nelle baracche dei minatori e degli operai per i quali conduceva la sua strenua lotta.
“Si era verso il 1891 e io mi trovavo in Virginia. C’era uno
sciopero nelle miniere di Dietz e i ragazzi mi avevano mandata a chiamare.
Appena scesa dal treno mi si avvicinò un tale e mi chiese se ero Mamma Jones. –
Sì, sono io, dissi. – – Il direttore mi ha detto che se provi a venire qui ti
farà saltare le cervella. –”
Il
direttore aveva ottime ragioni per minacciare di morte Mamma Jones, perché
questa donna fu una nemica dei potenti. La sua fotografia spicca sulla
copertina della autobiografia. Ci mostra il volto di una gentile vecchietta dal
collo avvolto in una delicata sciarpina di pizzo. Un volto, questo, che, a suo
tempo, si trovava in tutti gli uffici di polizia delle zone minerarie e
industriali degli Stati Uniti, visto che questa angelica e anziana signora fu
una delle più formidabili agitatrici sindacali di tutta l’America.
Visse
a lungo, a novanta anni teneva ancora comizi. Tenne comizi per quaranta anni,
in una epoca in cui far la sindacalista era cosa assai dura: toccava spostarsi
da uno Stato all’altro, in treno, in calesse, a piedi, guadando i fiumi sempre
con la polizia “alle calcagna”.
“Vivo negli Stati Uniti”,
scrive
nel capitolo XVI,
“ma non potrei dir dove. Il mio indirizzo è dovunque si lotti
contro l’oppressione. Un giorno sono a Washington, un altro in Pennsylvania o
in Arizona, in Texas, Minnesota, Colorado. Il mio indirizzo è come le mie
scarpe, viaggia con me.”
A
quel tempo il sindacato dove esisteva, era semiclandestino e proibiti, spesso,
erano gli scioperi, quei terribili scioperi americani della fine dell’Ottocento
e dei primi decenni del secolo scorso, teatro di durissimi scontri con la
polizia federale e privata, che uccideva senza scrupoli, in nome della
proprietà. I minatori, i metalmeccanici, i tessili, si battevano per sfuggire a
condizioni di vita inumane. Tutto questo è stato ampiamente documentato dagli
scrittori più seri dell’epoca da John Dos Passos a John Steinbeck. E ce lo
illustra, con estrema semplicità ed efficacia anche Mamma Jones, nella sua
autobiografia:
“Prima del 1899 le miniere di carbone della Pennsylvania”,
scrive,
“non erano sindacalmente organizzate. Gli emigrati si
riversavano nel paese e lavoravano per poco, c’era sempre un surplus di
manodopera immigrata, fatta venire dall’Europa dalle società carbonifere, in
modo da tenere i salari al livello di pura sussistenza; le ore di lavoro
trascorse sottoterra erano lunghe, non di rado quattordici o tredici. La vita
del minatore non era protetta da nessuna legge, le famiglie vivevano in
baracche di proprietà della società, indegne persino dei maiali. I bambini
morivano a centinaia. L’unione dei minatori decise di sindacalizzare la zona e
di lottare.”
Più
avanti scrive:
“Uno dei primi scioperi che io ricordi avvenne negli Anni
Settanta. Questi primi anni videro gli esordi della vita industriale americana.
Insieme al sorgere dell’industria, all’espansione delle ferrovie,
dell’accumulazione del capitale, allo sviluppo delle banche, vennero le leggi
antioperaie.”
Lotta
durissima, dunque, che vide Mamma Jones all’opera per anni e anni insieme ai
minatori e agli operai, con i quali viveva, spesso, ospite nelle loro baracche,
prima e dopo le riunioni.
Del
filo da torcere, ai potenti, Mamma Jones ne dette molto, insieme alle donne dei
distretti minerari. E, mentre questo diario testimonia delle grandi lotte
operaie d’America, testimonia, soprattutto, il fatto che le donne vi presero
parte in prima persona e in gran numero.
Come?
È
ancora lei che ce lo racconta:
“Ad Arnot, in Pennsylvania, lo sciopero si protraeva già da
quattro o cinque mesi, gli uomini cominciavano a perdere la speranza. Mi
telefonarono perché andassi subito. Partii all’alba: con cavallo e calesse
percorremmo sedici miglia di dura strada di montagna. Domenica pomeriggio feci
un comizio e cercai di scuotere quei poveri diavoli: - Dovete impegnarvi a
fondo – dissi – e restare uniti ai vostri compagni e al sindacato, fino alla
vittoria. – Gli uomini strascicavano i piedi, ma le donne presero l’iniziativa,
coi bambini in braccio, e si impegnarono a impedire che qualcuno andasse al
lavoro la mattina dopo. La società cercò di far entrare i crumiri in miniera.
Dissi agli uomini di restare a casa con i bambini e di dare il cambio alle
donne. Organizzai un esercito di casalinghe: in un giorno prestabilito dovevano
portare scope e ramazze e l’esercito così costituito avrebbe dato una lezione
ai crumiri, là in miniera. Decisi di non andarci personalmente perché sapevo
che mi avrebbero arrestata mettendo in rotta il nostro esercito (e, infatti, in
seguito, Mamma Jones fu arrestata numerose volte n.d.r.). Scelsi come capitano
una irlandese con un aspetto dei più pittoreschi. Si era infilata una sottana
rossa sopra la camicia da notte di cotone spesso, aveva una calza rossa e una
bianca e attorno alla capigliatura ribelle si era annodata uno scialletto
rosso, aveva la faccia infuocata e gli occhi furenti. A colpo d’occhio capii
che era in grado di scatenare una rivolta. Le dissi: - Porta l’esercito fino
alla miniera. Prendi la casseruola che hai con te e il martello e quando
arrivano i crumiri coi muli, tu dai delle martellate e urla; fate tutte lo
stesso e tenetevi pronte. Non fatevi intimorire da nessuno. –”
Non
si fecero intimorire affatto.
Il
racconto continua:
“Urlando a squarciagola, condusse le donne su per il fianco
della montagna, e appena arrivarono i muli con i crumiri e il carbone, prese a
battere sulla casseruola e a gridare, e tutto l’esercito di donne la imitò. Lo
sceriffo le batté sulla spalla: – Cara signora, faccia attenzione ai muli, non
li spaventi. – La donna, afferrata la sua vecchia pentola gliele suonò, gridando:
– Va’ al diavolo tu e i muli. – Da quel giorno le donne tennero costantemente
d’occhio la miniera.”
E
lo sciopero fu vinto.
Lottarono
molto, le donne, contro la violenza.
La
loro carica esplosiva veniva dal fatto di doversi battere su due fronti: in
fabbrica, o in miniera, e in casa sentendo ancora più pesantemente, forse, dei
loro compagni, il peso della miseria che impedisce di dare da vivere alla
famiglia.
Molte
di loro furono uccise dalla polizia.
Molte
urlarono la loro rabbia in canzoni da loro stesse composte, che diventarono la
coscienza dei minatori.
Sara
Ogan Gunning, vedova di un minatore, compose una canzone:
Minatore svegliati, apri gli occhi e guarda
Cosa sta facendo a te e a me lo sporco sistema capitalistico
Ti succhia veramente il sangue, si prende la vita dei nostri
figli
Porta via i padri dei bambini e i mariti delle mogli
Minatore dovunque tu sia, vuoi formare un sindacato?
Anche
Mamma Jones era passata alla lotta quando aveva perduto tutta la famiglia, una
famiglia che, in più umane condizioni di vita, non sarebbe andata distrutta. È
così che lei, in poche righe, ci racconta la sua storia:
“Nacqui a Cork, in Irlanda, nel 1830. I miei erano povera gente,
mio padre venne in America, manovale nelle squadre addette alle costruzioni
delle ferrovie. Volevo fare l’insegnante, feci le scuole medie, poi, imparai a
far la sarta.”
Si
sposò con un operaio fonditore.
“Nel 1867”,
scrive
ancora,
“scoppiò un’epidemia di febbre gialla, che fece vittime
soprattutto tra i poveri e i lavoratori. Uno dopo l’altro i miei quattro
bambini si ammalarono e morirono. Lavai i loro corpicini e li composi per la
sepoltura, anche mio marito prese la febbre e morì. Ritornai a Chicago e
ripresi il lavoro di sarta. Nell’ottobre 1871, il grande incendio di Chicago
distrusse il mio stabile e tutto quel che avevo. Lì vicino, in un vecchio
edificio, tenevano le loro riunioni i Cavalieri del Lavoro. Erano
l’organizzazione operaia di allora. Passavo le mie sere alle loro riunioni.
Presi parte più attivamente alle lotte operaie e decisi di partecipare agli
sforzi dei lavoratori per migliorare le loro condizioni di vita e di lavoro.”
Se
vi è qualcuno che pensa che Mamma Jones sia stata particolarmente sfortunata,
si sbaglia.
Basta
aver studiato anche superficialmente la storia, la vera storia degli Stati
Uniti[1],
per sapere che questo tipo di sfortuna era comune a migliaia e migliaia di
persone, per sapere come vivevano in città negli slums e fuori, nelle baraccopoli. Nel suo libro, Mamma Jones parla
delle sofferenze dei bambini messi a lavorare soprattutto nelle filande.
“Di questi bambini”,
scrive,
“quelli che potevano andare a scuola generalmente erano quelli
che avevano avuto un infortunio.”
Visto
che, spesso, lasciavano le dita, le mani o i capelli nelle macchine.
Il
capitolo X del libro è interamente dedicato alla memorabile marcia che, nel
1903, portò 20mila bambini, da lei accompagnati, da Kensigton (Pennsylvania)
attraverso l’America fino a New York.
È
tutto vero, quello che questa agitatrice sindacale ha scritto?
Come
ho detto, basta una conoscenza anche superficiale della storia degli Stati
Uniti, per sapere che, purtroppo, è tutto vero.
Sembra
che Mamma Jones abbia detto una sola bugia: si è “aumentata” un poco l’età, una
delle poche civetterie della sua vita. Per il resto la sua è stata una vita di
lotta, al fianco dei lavoratori e, soprattutto, delle lavoratrici.
“ – Uscite a lottare! – dicevo alle donne. – Lottate con tutte
le forze, fino alla fine! – ed era l’unico modo che avevo per consolarle.”
Un
appello che non lasceremo cadere…
Grazie
Mamma Jones!
Daniela
Zini
Copyright © 22 maggio 2011 ADZ
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